giovedì 6 febbraio 2014

IL TRAPANO A COLONNA



Il trapano a colonna è una macchina che, secondo quanto sappiamo, è stata inventata in Australia nel 1889 ed è nata soprattutto per lavorare nel settore della meccanica, dove la precisione era estremamente importante; questa macchina permetteva, per la prima volta, di effettuare dei fori perfettamente perpendicolari alla piastra di appoggio su cui venivano fissati i pezzi da lavorare.
Inizialmente il trapano a colonna era una macchina molto semplice ed era costituita da un motore elettrico collegato, con una cinghia, ad un albero meccanico che portava il mandrino in cui venivano fissate le punte elicoidali; tutto il gruppo era montato su una colonna lungo la quale si muoveva verticalmente, comandato da una leva, per poter affondare le punte nel pezzo in lavorazione.
Inizialmente sembra che la velocità del mandrino fosse unica e che il primo prototipo fosse nato per lavorare appoggiato su un banco; successivamente è stato sviluppato fornendolo di un basamento autonomo a pavimento e di un piano di appoggio che si alzava ed abbassava, bloccandolo con un anello coassiale fuso con il piano mobile, che si stringeva attorno alla colonna.
In seguito arrivarono le modifiche per migliorare il prodotto: nel 1917 fu inventata la cinghia trapezoidale, che sostituiva con successo le vecchie cinghie di cuoio usate fino a quel momento, con un deciso miglioramento per la potenza trasmessa (sotto sforzo quelle di cuoio tendevano a slittare); con l’avvento di questo nuovo tipo di cinghia si cominciarono a costruire anche le pulegge con gole multiple a diametro diverso. 




Queste nuove pulegge, usate in posizione invertita, permettevano di utilizzare la macchina a varie velocità, cambiando solo la posizione della cinghia; la possibilità di cambiare la velocità di rotazione del mandrino è importante perché, per ottenere una buona lavorazione da parte della punta, bisognerebbe mantenere costante la velocità tangenziale delle punte usate.
Questo significa che per le punte con diametri piccoli occorre usare una velocità alta, mentre per quelle con diametri grandi bisogna usare velocità basse, qualunque sia il materiale da forare.
Negli anni seguenti sono state fatte altre migliorie, fino ad arrivare ai trapani di oggi che hanno il piano di appoggio che si sposta con una semplice manovella che lavora su una cremagliera, e che si può inclinare lateralmente, con goniometro di controllo. Le cinghie trapezoidali vengono usate ancora, ma ne sono state introdotte altre più performanti; inoltre sono stati adottati anche dei variatori di velocità ad ingranaggi, che funzionano come un cambio motociclistico e, per le macchine più sofisticate, esistono dei variatori continui di velocità, a doppio cono rovesciato, comandati elettronicamente.
Naturalmente non si montano solo le punte elicoidali nel mandrino, ma ci sono altri tipi di punte che si usano con il legno: le più conosciute sono le punte chiamate levanodi che hanno i taglienti e i rasanti al Widia per poter lavorare anche su materiali duri come il laminato senza sbrecciare (vengono chiamate anche punte da cerniere), ma sono nate per eliminare i nodi dalle tavole di legno, richiudendo poi il foro con un tassello cilindrico dello stesso materiale. 



Altre punte molto simili alle precedenti, ma senza riporti al Widia sono le punte Forstner, che hanno una funzione simile e che sono nate prima delle precedenti. 



Un’altra punta, che si può considerare il capostipite delle punte da legno, è la mecchia (detta anche punta a spatola, per via della forma), che una volta veniva usata con il trapano manuale a gomito, detto girabecchino o menarola. Viene usata ancora oggi ed ha ovviamente diverse dimensioni. 




Un altro utensile che si usa spesso con il trapano a colonna è la sega a tazza, che è praticamente una campana cilindrica con il bordo libero dentellato; esistono in molte dimensioni e servono per fare fori anche di 15 cm. di diametro su diversi materiali. 



Un altro attrezzo che si può usare con il trapano a colonna è il foralastra, che è nato per forare delle lamiere sottili, ma che si può usare anche sul legno e similari, purchè si limiti molto la velocità di rotazione; questo strumento ha un braccio orizzontale spostabile, per fare fori di diverse dimensioni, che porta un’asta tagliente rivolta verso il basso all’estremità libera. Il limite di utilizzazione di questo attrezzo sta nella scarsa profondità che può raggiungere, problema che si rileva anche nell’uso delle seghe a tazza.